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ultimo aggiornamento 22/09/2017

“Campaniliana”, Arnaldo Colasanti: “Campanile? Inclassificabile. Uno scrittore che è un unicum”

di Rocco Della Corte



Presidente della Giuria per la prima edizione del Premio Nazionale Teatrale “Achille Campanile” e tra i relatori del convegno “Umorista sarà lei!” in programma il prossimo 21 ottobre 2017 a Velletri, il dottor Arnaldo Colasanti – scrittore e critico letterario – ha rilasciato una breve intervista mostrandosi estremamente soddisfatto dell’andamento della “Campaniliana” e soprattutto per l’alto numero di copioni pervenuti (ben sessantotto). A lui il compito, insieme agli altri giurati Simona Marchini e Gaetano Campanile, di decretare il vincitore. Oltre all’impegno per la manifestazione, Colasanti si era già occupato, nella sua carriera professionale, di Achille Campanile: ha partecipato a precedenti iniziative pubbliche e curato la prefazione di alcune opere ristampate.

Arnaldo Colasanti, prima di entrare nel merito della rassegna, una domanda in virtù del suo ruolo da critico letterario: quale è il ruolo di Achille Campanile nel Novecento italiano?
Rispondo facilmente: Campanile è inclassificabile. Non si sa dove metterlo sia quando si pensa alla narrazione sia in merito alla produzione teatrale. È un autore che non si sa dove collocare, perché è sempre se stesso e il suo essere se stesso non permette ai critici e ai lettori di trovare nessi e relazioni tra le opere. Questo però non è un limite, né un vizio, bensì la testimonianza che si legge, di fronte a un testo di Campanile, un unicum. È una cosa che accade con grandi scrittori italiani più o meno noti, come Antonio Pizzuto o Italo Svevo, quest’ultimo solo apparentemente scrittore facilmente collocabile per i temi della maschera e dell’inettitudine, ma in realtà inclassificabile. La non classificabilità del personaggio Achille Campanile è proporzionale all’unicum che a sua volta stabilisce una specie di teorema. Campanile è uno scrittore capace di dire solo ciò che in suo futuro, continuamente alla ricerca di un nuovo lettore, poiché la sua inclassificabilità non permette lettori abituati alla tradizione.
Come si pone, secondo lei, il lettore di fronte all’opera di Achille Campanile e come la interpreta?
Ogni lettore cambia la visione e il giudizio su Campanile. Come è accaduto quando è stato letto dall’Avanguardia o da grandi autori del calibro di Pampaloni, o di altri numerosi scrittori raffinati, e anche da me stesso. È importante notare come verrà letto dai più giovani. L’unica cosa certa è che sono tutte letture diverse che dicono la verità. La forza di questo scrittore è proprio l’essere un unicum.
Qual è il genere, dalla drammaturgia alla prosa, passando per l’umorismo, in cui Campanile ha dato il meglio di sé?
Per quello che riguarda Campanile, genere non funziona come termine. Non che non faccia teatro o narrativa, ma il genere per questo scrittore è vicino al concetto di genere che avevano gli scrittori greci, i quali credevano fortemente che un genere permettesse un metro ben preciso. Per Achille Campanile è la brevitas, anche nella narrazione, è un metro.  La brevità è corto circuito, acume, sagacia, umorismo ma è anche una cosa che appartiene al Campanile uomo. A lui piaceva guardare la realtà prima di raccontarla: la guardava, memorizzava, e raccontava.
Perché ha accettato il ruolo di presidente per la prima edizione del Premio Nazionale Teatrale “Achille Campanile” e come giudica il lavoro sin qui svolto dal Comitato Organizzativo?
Sono presidente del Premio per tanti motivi. In primo luogo per l’onore di collaborare con il mio grande amico Gaetano Campanile, una persona onesta, buona, pulita e intelligente. Il lavoro svolto è ottimo e continuo a credere che i premi, se non sono cose da vecchi, se non sono istituzioni per dare riconoscimenti vuoti, se non sono il giudizio di Kant ma il tentativo di promuovere persone che pur non conosciute scrivono, allora hanno motivo di esistere. La cosa più bella è che chi ha partecipato, magari non conoscendo direttamente l’opera di Campanile, ha cercato di ritornare nella scena italiana della cultura di quei tempi. Cultura ben diversa rispetto a quella odierna, molto più conformista, non teatrale, non bella, non umoristica, non sarcastica. Se riusciamo a vedere che il premio fornisce spunti del genere, vale il nostro impegno.
In ultimo, una domanda in “una battuta”: la sua opera preferita di Achille Campanile?
Difficile, direi Il povero Piero o Vite degli uomini illustri, ma non per conflitto di interessi (ne ha curato la Prefazione per l’edizione BUR, ndA). Anche alcuni scenari delle Tragedie in due battute sono notevoli.