Il sito non utilizza cookies di profilazione ma solamente quelli necessari al suo buon funzionamento.
Se continui ad utilizzarlo, noi assumiamo che tu ne sia felice.
Continuo
    Cookie Policy





ultimo aggiornamento 24/07/2017

L’umorista più serio del mondo e quella 'Cantilena' agrodolce che rivive, isolato dopo isolato, con la penna di Achille Campanile

di Rocco Della Corte



Palazzeschi e Campanile
Un clima sospeso, un’atmosfera quasi sognante, sicuramente quanto di più lontano dalla comicità sguaiata dei nostri tempi. La retrospettiva campaniliana che analizza la società in tutti i suoi dettagli, premiata con il primo premio al Viareggio del 1933, è stata definita dall’autore come una cantilena, ma non sarebbe stato disdegnoso o errato chiamarla poesia. Una serie di flash, per la critica letteraria dotta «scritti giornalistici», che si focalizzano su ogni angolo di ogni città con ritratti lucidi e vividi, uomo dopo uomo, maschera dopo maschera, anima dopo anima. L’alta qualità narrativa, innegabilmente presente anche nelle opere umoristiche, si coniuga con la difficoltà di far ergere ad argomentazioni di dignità letteraria situazioni tipiche, quotidiane, ad un primo impatto scontate. Ecco, forse, spiegato il perché del titolo: Cantilena all’angolo della strada per la comunissima ispirazione che ha portato Campanile a dipingere botteghe, fotografi, stagioni, quartieri. L’etimologia di cantilena, che richiama una vecchia e nota canzone, dall’accezione noiosa, ben si sposa con l’angolo della strada, spesso nell’immaginario collettivo rappresentato da un marciapiede sconnesso e da un muricciolo scrostato, in una città frenetica piena di disagi e di angosce vane. Ma il titolo nasconde anche un ossimoro, perché quelle strade percorse dallo scrittore, acuto osservatore, presuppongono una velocità dell’ambiente circostante, fosse solo per le sirene dei pompieri «annunziate dallo strido monotono petulante e ansioso che le precede e le segue – uno strido che la notte diventa semplicemente lugubre – sono passate come saette prima una poi un’altra, quindi una terza […]»[1]. Persino la punteggiatura suggerisce un andamento convulso, ma una cantilena si recita con serenità, pacatezza, agio, tanto da provocare, spesso, il sentimento moraviano della noia. Ma l’etimologia del sostantivo comprende anche una musicalità, che è la stessa che emerge dalle pagine di Cantilena. Una melodia disillusa che include meticolosi spaccati, tanto che qualsiasi nucleo dell’opera potrebbe essere inserito in un grande classico e calzare a pennello nella descrizione delle abitudini dei grandi personaggi della letteratura italiana, ambientandosi perfettamente senza sfigurare né distinguersi nel complesso architettonico di un romanzo. L’alta qualità narrativa non si smentisce, la classe non è acqua (minerale?!) e la bravura di Campanile, umorista ma non troppo, sta nel trovare ovunque lo spunto per dipingere degli autentici quadri che raccontano in maniera impeccabile la vita di strada, con la focalizzazione sull’interiorità di coloro che la strada la percorrono e sulle suggestioni che il paesaggio presenta alla fantasia autoriale. L’opera sottolinea e amplifica l’immortalità della potenza evocativa e la validità di una narrazione fluente, decisa, grazie agli eroi del popolo (ladri, pompieri, spazzini, ciarlatani). Realismo e ironia dal tono sommesso, rappresentanti di una messa per iscritto meta-letteraria del sentore collettivo, luoghi comuni rigirati o scardinati dal loro stesso intento, completano una libro da leggere aguzzando l’ingegno e aprendo il cuore. Cantilena è e sarà sempre una tappa fondamentale per l’approccio alla produzione campaniliana, conditio sine qua non per comprendere la poliedricità dello scrittore, nonché la sua capacità di sdoganare l’umorismo abbinandolo ad una cultura dotta, come dimostra la ricercatezza del lessico e la dignitosa descrizione dei pensieri e delle emozioni come la rassegnazione di un innamorato, la follia di un bambino, l’ebbrezza aitante di un ubriaco. All’angolo della strada inizia il mondo di Campanile, che non è il microcosmo della torre d’avorio o il castello incantato delle campagne di Velletri ma, al contrario, l’intero pianeta che richiede coraggio agli uomini per vivere, o, semplicemente, sopravvivere. Quanto vada in controtendenza nell’economia della produzione generale campaniliana questa raccolta di scritti giornalistici è questione da valutare. Certo le Sere di primavera nei quartieri popolari o Il pensiero della morte bastano e avanzano per far comprendere come la sagacia di Campanile non sia immune da un retropensiero fondamentalmente amaro, sulla stessa lunghezza d’onda di un Eduardo De Filippo o di un Luigi Pirandello. La differenza sta nella forma scelta dello scrittore per comunicare, molto più vicina alla massa ma non per questo meno sofisticata degli apparati allegorico-fantastici dei mascherati Giganti della montagna. L’allegoria in Campanile non è assente, ma si manifesta in maniera estremamente più fruibile e per certi versi magica. Come non pensare, infatti, alla magia in relazione alla riflessione, apparentemente assurda, sulla perdita di tempo e sulla necessità della stessa: Giovannino Perdigiorno è diventato, grazie a Gianni Rodari, il mito dei bambini, mentre agli adulti resta la possibilità di abbandonarsi alle riflessioni solo al cospetto della Città delle vetrine descritta da Campanile, che può essere ovunque, dall’immaginaria Pontesullago[2] all’eterna Roma:

Se ci voltiamo indietro a guardare il passato, troviamo che, salvo due o tre fatti gravi, la nostra vita è un seguito di tempi perduti. Non perché si sia realmente perduto tanto tempo, ma perché dell’altro tempo, quello utilmente impiegato, non resta traccia se non nei suoi effetti; ma è passato e non ce ne siamo accorti[3].

Come l’istante che fa la differenza e lascia sempre indietro Achille (coincidenza onomastica con l’autore conteso tra Lariano e Velletri, per richiamare il paragone omerico citato dall’umorista[4]) rispetto alla tartaruga, come il divertissiment di Blaise Pascal, anche Campanile riflette con una disarmante efficacia sulla frenesia e sull’incedere inarrestabile della vita, che scorre come un fiume in piena e non si ferma, rendendoci continuamente proiettati verso la successione instancabile di punti di arrivo e contestuali punti di partenza[5]. La “perdita di tempo”, allora, causa di malessere e disappunto per gli uomini contemporanei, diventa una condizione necessaria per recuperare se stessi e le proprie sensazioni, assumendo una connotazione positiva, anzi irrinunciabile. L’umorista ha partorito una teoria universale, abbassandola formalmente e lessicalmente per renderla più fruibile ma non rinunciando all’altezza e alla complessità dei contenuti.

Certo, se si riuscisse a non perder mai tempo, avremmo grandi vantaggi, ma anche un gran vuoto. Qualche volta è necessario perdere un po’ di tempo. Cioè, occuparsi solo del tempo come tempo e sentirlo passare lentissimamente. Tanto più se si pensa che, in realtà, non è il tempo, ma siamo noi che passiamo, così come, lungo le strade ferrate, non sono i pali del telegrafo, ma è il treno che corre[6].

Il treno che corre. È una metafora dell’uomo. Ma i binari, in Campanile, sono sempre presenti e mai per pura congiuntura storico-industriale. Quando lo scrittore romano parla dei convogli lo fa sempre con un’enfasi soffusa, allude in maniera sin troppo eloquente all’evocazione poetica che il treno, col suo fascino, racchiude. Le righe di Giovinotti[7], i testi di Cantilena, persino gli scritti più irriverenti di Campanile quando arriva il treno deviano irrimediabilmente verso la poesia. Come del resto includere meglio la filosofia del “non aver mai tempo” e dell’essere “in ritardo” se non con il mezzo di trasporto che più si lega a fischi, corse, orologi e sbuffate – quelle del pendolare in carrozza e quelle della locomotiva in cammino. L’umorista è attento al secondo, e proprio per questo scrive una cantilena, per rubare ai lettori istanti preziosi, decisivi, rallentandoli e invitandoli a perdere un po’ di tempo per se stessi. Tuttavia, l’agrodolce in Campanile si ritrova nelle conclusioni, nella sconfitta dell’utopia e nella presa di coscienza di un destino affannato:

Invece, noi riempiamo le nostre giornate di cose che c’interessano e ci distraggono, in modo che queste giornate si succedono inavvertite e sempre più rapide. Così crediamo di ammazzare il tempo. E invece ammazziamo noi stessi[8].

Un po’ come accade al povero Piero, che asceso al cielo si riscopre incoscientemente e con gran sorpresa artefice di quattro omicidi di cui l’ultimo è proprio ai danni di se stesso[9], la cosa più naturale che viene all’essere umano è quella di far fuori se stesso. Il delitto più grande, in fondo, è non perdere tempo, non andare ad osservare l’animo umano – proprio o altrui – nei suoi angoli più nascosti, e così nella speranza di ammazzare il tempo gli unici a morire sono i frettolosi, gli angosciati, gli ansiosi, i superuomini - insomma tutti o quasi – i quali ben contenti nel tendere al Super Io si scordano dell’Io. E corrono, come un treno, quasi masticando voracemente gli attimi che la vita regala, senza guardare gli angoli di una stazione, o di una strada, a ritmi alti, soffocanti e in fondo deprimenti. Il “chi si ferma è perduto” non è altro che la constatazione di come arrestarsi significhi fare qualcosa che non si è abituati neanche a concepire, ovvero pensare, e cioè riflettere. L’umorista Campanile è tutt’altro che il solo dispensatore della risata, al contrario è più correttamente notare la sua attenzione agli umori e non ha paura di sbandierare questa dura verità con la fluente leggerezza di una cantilena, punto di partenza e non di arrivo per un’oratoria più prolifica di quella plateale: il discorso con se stessi, allo specchio.

RASSEGNA NAZIONALE “CAMPANILIANA 2017”: DOVE E QUANDO
La città di Velletri che ha ospitato Achille Campanile negli ultimi anni della sua vita, a quarant’anni dalla morte del grande scrittore propone una serie di appuntamenti in una rassegna nazionale denominata “Campaniliana”. Queste, in breve, le date principali: il 21 ottobre inaugurazione della Mostra (ore 17.00) e Convegno di Studi (ore 18.00) dal titolo “Umorista sarà lei!” (Relatori: Giorgio Montefoschi, Vito Molinari, Arnaldo Colasanti, Gaetano Campanile; luogo: Casa delle Culture e della Musica di Velletri). Dal 21 al 29 ottobre Mostra fotografica-documentaria con immagini, gigantografie, manoscritti, bozzetti, disegni e oggetti di uso quotidiano dell’autore (Luogo: Casa delle Culture e della Musica di Velletri, aperta tutti i giorni dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 16.00 alle 18.30. Curatori: Silvio Moretti, Angelo Cannatà, Gaetano Campanile). Il 24 e il 26 ottobre sono previsti Reading Campaniliani, pomeridiani e mattutini per le Scuole. Domenica 29 ottobre 2017 alle ore 18.00 presso il Teatro Artemisio Gianmaria Volonté proclamazione del vincitore del I Premio Nazionale Teatrale “Achille Campanile” (scrittura di un copione di genere umoristico) decretato dalla giuria composta da Arnaldo Colasanti (Presidente), Simona Marchini, Gaetano Campanile. A seguire rappresentazione teatrale di una commedia tratta dal repertorio campaniliano. Evento realizzato in co-produzione tra la Fondazione Arte & Cultura Città di Velletri, l’Associazione Memoria ‘900. In collaborazione con il Fondo Campanile e con il patrocinio del Comune di Velletri.

[1]  A. CAMPANILE, Cantilena all’angolo della strada, BUR, Milano, 2000, p. 55
[2]  Pontesullago è la città in cui vivono i protagonisti del romanzo Giovinotti non esageriamo.
[3] CAMPANILE, Cantilena, cit., p. 144.
[4]  Su questa dichiarazione di Achille Campanile si è fatto riferimento al sito ufficiale dedicato dai biografi e dal figlio allo scrittore, www.campanile.it, nella sezione Biografia: « Comperarono così una casa a pochi chilometri da Velletri, in contrada Arcioni. Campanile si raccomandava sempre di precisare, "comune di Lariano", ed aggiungeva che, come Omero era conteso fra undici città..., a lui bastava essere conteso da due, appunto Velletri e Lariano.»
[5] Il cenno è al pezzo Orator fit, contenuto in Manuale di conversazione, dove la tecnica più adatta per non sfigurare mai nei discorsi è quella di improntare ogni dichiarazione sul binomio tra passato e futuro.
[6] CAMPANILE, Cantilena, cit., p. 144.
[7]  A. CAMPANILE, Giovinotti non esageriamo, Treves, Milano, 1929.
[8]  CAMPANILE, Cantilena, cit. p. 144.
[9]  A. CAMPANILE, Manuale di conversazione, Rizzoli, Milano, 1973. Il testo che narra le vicende di Piero, appena deceduto, è Solo per l’eternità. E bestia, pp. 279-294.