Il sito non utilizza cookies di profilazione ma solamente quelli necessari al suo buon funzionamento.
Se continui ad utilizzarlo, noi assumiamo che tu ne sia felice.
Continuo
    Cookie Policy





ultimo aggiornamento 28/09/2017

Una ‘cantilena’ di buon compleanno per l’arcavolo Achille Campanile

di Rocco Della Corte


Il 28 settembre 1899 nasceva a Roma Achille Campanile: profondo conoscitore dell’animo umano, con la battuta sempre pronta e la riflessione altrettanto dirompente sotto la “scorza” umoristica.


1943
Il giorno del proprio compleanno, per i più sensibili, porta spesso una buona dose di smarrimento. Sarà l’inconscia negazione di ammettere il tempo che passa, così come passano la giovinezza, l’amore e la vita giocando a carte, nell’immaginario campaniliano. Se nel Povero Piero questa constatazione viene interpretata dai più, ottusamente, come un gioco di parole di umorismo disimpegnato, la trama di fondo è fin troppo amara perché corrisponde alla verità dello stordimento di se stessi. I momenti della vita, quelli in cui non si perde tempo e si va avanti come un treno in corsa senza una stazione cui approdare, talvolta ripassano virtualmente dal “via”. Una metafora, questa, che può spiegarsi con il compleanno: il giorno in cui la vita, come la lancetta di un orologio, ripassa dallo stesso punto toccato trecentosessantacinque giorni prima, in modo imprudente, irruenta nel passare come i bambini in un giro di giostra, o i sentimenti in una giocata a carte. Nella radice etimologica della parola «compleanno» è ben radicato il cumplir, il compiere, l’aver fatto qualcosa. Di solito si compiono imprese, gesta. Per tutti gli esseri umani regolarmente registrati all’anagrafe in un preciso giorno, corretto o presunto, oltre ai grandi traguardi si compiono gli anni. È un’azione intransitiva, non ammette repliche né rimandi. Avviene e si subisce passivamente, come si subiscono le ingiustizie, gli inganni. La passività è impossibile da contrastare e occorre sottostare alla prepotenza del tempo, una «massa grigia e informe, che occupa tutto l’orizzonte e s’avanza con le sue mille braccia tese e tutto ci sospinge contro». La serietà di Campanile sta nel giocare esorcizzando il problema di ogni uomo, quello della morte o di ciò che la precede, vale a dire la vita. Una navigazione insidiosa, come quella del Cristoforo Colombo gucciniano: così la narrazione sciolta di Campanile «naviga, naviga via, più lontano possibile, da quell’assordante bugia, naviga, naviga via». Un navigare per restare, smascherando le bugie degli oratori e le finzioni del costume umano. Il divertissiment pascaliano e l’umorismo campaniliano sono la terapia della coscienza e della conoscenza per evitare le depressioni. «Conosci un altro modo per fregar la morte?», si chiede Ligabue richiamando, senza volerlo, una domanda a cui Achille Campanile ha già dato risposta. La soluzione è l’immaginazione, infinita, dei ghiribizzi di Agosto, moglie mia non ti conosco e della lucida osservazione della realtà. Ognuno di noi, un giorno all’anno, anche senza chiamarsi Piero, si sente povero, indifeso, vulnerabile. Non può far altro che arrendersi, mantenendo stoicamente un tono sbeffeggiante nei confronti del tempo «cieco, immenso, stupido». Non resta che dare del «tu» a chi si piglia le ore, i giorni, i denti e i capelli. Chi non carpisce questo messaggio ignora, per proprietà transitiva, la profondità di Campanile, che ha cantato nella maniera migliore un esistenzialismo talmente efficace da non sembrar tale. Tutti abbiamo qualcosa di simile da dire, e in un istante del nostro compleanno speriamo che arrivi subito il domani. Predichiamo la tranquillità, rifuggiamo le ansie e le grandi feste, o se ci prestiamo ad esse è per spaventarci di meno. A salvarci sono certe strane cantilene, per le quali non resta che ringraziare Achille Campanile, un uomo di parola: in ogni momento della nostra vita, il pelìde torna, e subito, come ha fatto incidere sulla sua tomba. Nascita e morte, un giro di lancetta fugace sotto la firma di un solitario scrittore che dà valore ad ogni parola, cominciando da quella scherzosa e tuttavia mai banale. Grazie, Arcavolo.