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ultimo aggiornamento 06/08/2017

Passeggiate campaniliane: La quercia del Tasso e la scoperta della poliedricità della parola

di Valentina Leone



Buonos Aires 1932
L’incipit narrativo del breve scritto intitolato La quercia del Tasso, comparso prima in Manuale di conversazione del 1973 e poi nel 1975 in Vite degli uomini illustri, tutto concentrato sulla descrizione dello scenario dalla quale prende le mosse l’imponente affastellamento di lemmi, di suoni allitteranti connotativo della prosa di Campanile[1], non è esente da un primo accenno di verve corrosiva che figura per i resti dell’albero sacro a Zeus, dove il Tasso andava a sedersi, l’ipotesi di una confusione con la comune legna destinata a usi pratici e non contemplativi: 

Quell’antico tronco d’albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto, quand’essa era frondosa[2].

Quando Campanile passò dal Gianicolo, uno dei colli in cui sembra di avere ai piedi l’enorme distesa di Roma, l’aspetto delle reliquie della quercia del Tasso, per la quale già al tempo poteva sembrare paradossale immaginare un passato di foglie frondose, doveva essere pressoché simile a quello odierno: un tronco superstite da cinque secoli, che ha perso il proprio aspetto fino a tornare a una originaria massa informe, sorretto non più da radici ma da mattoncini di un muretto artificiale, al tempo stesso indice della fragilità e della straordinarietà del cimelio. Impossibile, per il visitatore contemporaneo, non sovrapporre al quadro tracciato da Campanile l’attuale aspetto dell’antico fusto, rimasto carbonizzato nel 2014 a causa di un incendio doloso, facendo scoppiare un caso che ha sollevato le polemiche della cronaca cittadina[3]. Ancora più ridotto nella sua superficie e divenuto quasi irriconoscibile, il tronco, in ogni caso sostitutivo dell’esemplare di epoca tassiana, è sorretto ora da una imbracatura di metallo, a sottolineare l’abbandono al degrado di una parte integrante della storia cittadina. Nella pluralità di sovrapposizioni letterarie che questo luogo ispira, per la stratificazione dei passaggi di personaggi d’eccezione nonché dei pellegrinaggi del Grand tour, da quel moncherino sembra emanare un grido lacerante, un dolore per una condizione irreversibile che potrebbe prendere in prestito le parole che Giacomo Leopardi, nella lettera dedicatoria dell’edizione Piatti dei Canti, attribuiva a sé stesso, rappresentandosi come «un tronco che sente e che pena»[4]. Un Leopardi richiamato con giusta causa, in quanto il recanatese ha lasciato una delle più potenti testimonianze di una visita al sepolcro del Tasso[5], ospitato nella chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo, ma fu anche protagonista, insieme allo stesso autore della Gerusalemme liberata[6], di numerosi racconti frutto dell’inventiva di Campanile, in cui i due grandi autori della letteratura, tali anche nel capilettera maiuscolo del cognome, sono immersi letteralmente in una “giungla” popolata dagli omonimi animali.  

Giro d'Italia 1932
Da questo tronco assai scarno Campanile ricava spazio per costruire una situazione verisimile, eppure giocata, attraverso la polisemia delle parole, sul sottile confine tra realtà e finzione. Si intrecciano sullo stesso piano biografia e produzione letteraria. L’ombra della quercia, rifugio del «tasso della quercia del Tasso» e del poeta che a Roma sperava di trovare pace nell’ultimo scorcio di una travagliata esistenza[7], è un motivo della produzione lirica di tassiana, dove intende alludere, in forma metaforica, allo stemma e alla protezione ricevuta dalla famiglia Della Rovere[8]. Ma l’«antica Quercia» da «l’altiero crine e ’l tronco forte e saldo» trama, con la stessa venatura encomiastica, anche il libro di Rime del Tasso padre[9], quel Bernardo che Campanile, con una funambolica prova di maestria, risuscita e rende antagonista del figlio, creando un conflitto “Tasso contro Tasso” in cui hanno parte specie arboree – la quercia, l’olmo, il tasso («l’albero delle Alpi»), il tasso barbasso –, il mammifero appartenente alla famiglia dei mustelidi e le due guerce:

Poi c’era la guercia del Tasso: una poverina con un occhio storto, che s’era dedicata al poeta e perciò era detta «la guercia del Tasso della quercia», per distinguerla da un’altra guercia che s’era dedicata al tasso dell’olmo (perché c’era un grande antagonismo fra i due). Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta: «la quercia della guercia del Tasso»; mentre quella del tasso era detta: «la quercia del tasso della guercia»: qualche volta si vide anche la guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso[10].     

Campanile moltiplica l’esistente, sottopone alla massima tensione il linguaggio per saggiarne integralmente le possibilità e le sfumature, con una continua ricerca stratigrafica della parola e un gusto per il ritmo allitterante. L’autore conteso tra Velletri e Lariano, come Omero dalle undici polis greche, fa leva su parole che informano la vita quotidiana per innescare una situazione credibile proprio sulle basi di una logica grammaticale, quindi di un rapporto di dipendenza tra le cose non necessariamente obbligato da un unico punto di vista:   

E lo chiamavano: «il tasso della quercia della guercia del Tasso», mentre l’albero era detto: «la quercia del tasso della guercia del Tasso» e lei: «la guercia del Tasso della quercia del tasso»[11].

Spinta a esiti estremi, poco prima di giungere al paradosso, La quercia del Tasso stabilisce prima di chiudersi una vera tassonomia (sic!) della realtà. Nel mondo di Campanile l’omonimia non sottrae l’identità e non è di ostacolo[12], anzi favorisce l’approssimazione verso una soluzione finale che si solleva nella leggerezza dell’ironia: 

Il comune di Roma voleva che i due poeti pagassero qualcosa per la sosta delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso barbasso del Tasso. (Ibidem)

Così, appena sfiorata la sottesa materialità caratteristica dell’animo umano, si conclude la pagina scritta e oltre lo spazio bianco, nella mente del lettore, sembra poter dare inizio a una nuova catena di combinazioni.

Pubblicato sulla rivista 900letterario il 4 agosto 2017 (Link: http://www.900letterario.it/critica/percorso-critico-opera-achille-campanile/

RASSEGNA NAZIONALE “CAMPANILIANA 2017”: DOVE E QUANDO

Achille Campanile, che ha vissuto tra Lariano e Velletri negli ultimi anni della sua vita, torna alla ribalta nazionale a quarant’anni dalla sua morte. Per ricordare in maniera dinamica il grande scrittore e drammaturgo si svolgeranno una serie di appuntamenti in una Rassegna Nazionale denominata “Campaniliana”. Queste, in breve, le date principali: il 21 ottobre inaugurazione della Mostra (ore 17.00) e Convegno di Studi (ore 18.00) dal titolo “Umorista sarà lei!” (Relatori: Giorgio Montefoschi, Vito Molinari, Arnaldo Colasanti, Gaetano Campanile. Luogo: Casa delle Culture e della Musica di Velletri). Dal 21 al 29 ottobre Mostra fotografica-documentaria con immagini, gigantografie, manoscritti, bozzetti, disegni e oggetti di uso quotidiano dell’autore (Luogo: Casa delle Culture e della Musica di Velletri, aperta tutti i giorni dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 16.00 alle 18.30. Curatori: Silvio Moretti, Angelo Cannatà, Gaetano Campanile). Il 24 e il 26 ottobre sono previsti Reading Campaniliani, pomeridiani (ore 17.30) e mattutini per le Scuole (ore 11.00). Domenica 29 ottobre 2017 alle ore 18.00 presso il Teatro Artemisio Gianmaria Volonté proclamazione del vincitore del I Premio Nazionale Teatrale “Achille Campanile” (scrittura di un copione di genere umoristico) decretato dalla giuria composta da Arnaldo Colasanti (Presidente), Simona Marchini, Gaetano Campanile. A seguire rappresentazione teatrale della commedia La moglie ingenua e il marito malato. Evento realizzato in co-produzione tra la Fondazione di Partecipazione Arte & Cultura Città di Velletri, ideatrice e promotrice dell’evento, e l’Associazione Memoria ‘900. In collaborazione con il Fondo Campanile e con il patrocinio del Comune di Velletri. Sito web della manifestazione: www.campaniliana.it.

[1] Sulla particolare tipologia di comico di Campanile si rinvia a P. BENZONI, L’umorismo debordante di Achille Campanile. Spunti per una fenomenologia del comico fuori posto, in Dalla tragedia al giallo. Comico fuori posto e comico volontario, Bruxelles, Lang, 2012, pp. 181-201.
[2] A. CAMPANILE, Vite degli uomini illustri, Milano, Rizzoli, 1975, pp. 84-86, p. 84.
[3] Si rimanda in particolare a P. PIOVANI, Che brutta fine ha fatto la quercia del Tasso, in “Il Messaggero”, 14 luglio 2016.
[4] Lettera agli amici di Toscana del 15 dicembre 1830, in G. LEOPARDI, Epistolario all’interno di ID., Tutte le poesie, tutte le prose e lo Zibaldone, Roma, Newton & Compton, 2013, 739, p. 1395. 
[5] Lettera a Carlo Leopardi del 20 febbraio 1823, in Epistolario, cit., 255, p. 1239: «Venerdì 15 febbraio 1823 fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l’unico piacere che ho provato in Roma. La strada per andarvi è lunga, e non si va a quel luogo se non per vedere questo sepolcro; ma non si potrebbe anche venire dall’America per gustare il piacere delle lagrime lo spazio di due minuti?». La descrizione leopardiana è stata analizzata nelle sua conseguenze poetiche in W. BINNI, Lezioni leopardiane, a c. di N. Bellucci e M. Dondero, Firenze, La Nuova Italia, 1994, pp. 265-268 e in N. BELLUCCI, Itinerari leopardiani, Roma, Bulzoni editore, 2012, pp. 45-50.
[6] A. CAMPANILE, Tragedie in due battute, BUR, Milano, 2000, pp. 26-27. Sulla presenza di Leopardi nell’opera di Campanile si veda anche il recente contributo R. DELLA CORTE, Campanile, Leopardi, l’umorismo e il pessimismo cosmico: l’irriverenza della grammatica per un autore «mai» scontato, pubblicato sul sito https://www.campaniliana.it e su www.letterefilosofia.com.  
[7] Al Costantini Tasso, ormai malato, scriveva da Sant’Onofrio la sua ultima lettera con una lucida consapevolezza di una fine prossima, si vd. T. TASSO, Le Lettere di Torquato Tasso disposte per tempo ed illustrate da C. GUASTI, Firenze, Le Monnier, 1852-155, 5 voll., V, 1535, p. 203: «Mi sono fatto condurre in questo munistero di Sant’Onofrio; non solo perchè l’aria è lodata da’ medici, più che d’alcun’altra parte di Roma, ma quasi per cominciare da questo luogo eminente; e con la conversazione di questi divoti padri, la mia conversazione in cielo».
[8] Come accade, ad esempio, nella splendida e incompiuta Canzone al Metauro del 1578, vd. ID., Rime, a c. di B. BASILE, Roma, Salerno editrice, 1994, 2 voll.: «L’alta Quercia che tu bagni e feconde/ con dolcissimi umori, ond’ella spiega/ i rami sì ch’i monti e i mari ingombra,/ mi ricopra con l’ombra».
[9] In particolare le rime dedicate al Duca di Urbino in B. TASSO, Rime, Torino, RES, 1995, 2 voll., V. Su questo tema tra Bernardo e Torquato, con un rimando anche al noto testo di Campanile, è intervenuto S. VERDINO, La Quercia dei Tasso, in I Della Rovere nell’Italia delle corti. Cultura e letteratura, Urbino, QuattroVenti, 2002, pp. 7-24. 
[10] CAMPANILE, Vite degli uomini illustri, cit., p. 85.
[11] Ivi, p. 86.
[12] Questa tipologia di umorismo è stata efficacemente studiata da L. BATTISTI, La parola svuotata. Forme ed effetti dello straniamento linguistico nell’umorismo di Achille Campanile, in «Avanguardia», XLIX (2012), pp. 113-144.