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ultimo aggiornamento 11/08/2020

Pino Ammendola: “Sedotto dai funambolici giochi verbali di Achille Campanile”

Intervista a cura di Rocco Della Corte



Pino Ammendola, autore teatrale, attore, sceneggiatore e doppiatore, ha percorso la strada della recitazione sin dall’età di nove anni. Da lì, con la travolgente simpatia che lo contraddistingue e la verve partenopea mai sopita, ha cominciato una carriera ricca di successi e di soddisfazioni. All’artista, poi, si aggiunge l’uomo: ironico, cordiale, geniale nelle sue battute e nelle sue risposte. Di Campanile ricorda con particolare affetto “La rivolta delle sette”, testo che ha messo a dura prova decine e decine di attori. Il sorriso è una cosa seria, ci ha spiegato, e va interpretato come una filosofia di vita per non perdere neanche un giorno.

Pino Ammendola, nella sua carriera ha lavorato con attori e scrittori di primissimo livello. La domanda è un po’ scontata, ma le chiedo quando si è avvicinato alla recitazione e cosa la colpisce di questo mestiere così emotivamente coinvolgente…

Quando avevo solo nove anni passai una vacanza estiva con il mio fratellino in un collegio in Francia, mia madre sognava di migliorare la nostra educazione con l’acquisizione di una lingua molto alla moda in quei tempi, ma in realtà imparai pochissimo (ero io a insegnare colorite espressioni napoletane ai ragazzini francesi!). Il caso volle che una compagnia di teatro locale, avesse bisogno di un bambino per una comparsata. Doveva entrare in scena in pigiama e chiamare la mamma come risvegliandosi da un incubo. Io ero particolarmente vivace ed egocentrico, così feci di tutto per mettermi in evidenza e fui subito scelto. Quando la sera dopo entrai sul palco, l’emozione fu immensa. Quella luce che non mi permetteva di vedere oltre, facendomi sentire come sospeso, la percezione del pubblico in attesa, l’adrenalina che inconsapevolmente avvertivo intorno a me e alla fine il rito liberatorio degli applausi con tutti quegli occhi fissati su di me, mi convinsero che il Teatro era ciò che volevo fare da grande! Le emozioni sono rimaste le stesse, allora come oggi, così non ho cambiato nè idea nè mestiere!

Ha esordito nel doppiaggio con Pier Paolo Pasolini, poi ha prestato la voce a decine di attori. È complesso dover figurare un dialogo o una battuta a partire da un altro volto, rinunciando quindi alla mimica e all’interiorizzazione del personaggio?

Il doppiaggio è un grande esercizio di umiltà e allo stesso tempo una grande scuola per un attore. Ti devi mettere a servizio di qualcuno che ha già ‘realizzato’ l’evento artistico-creativo e devi cercare di renderlo nella tua lingua solamente con l’uso della voce! Quindi affini la tua capacità di concentrazione e impari a capire come convogliare tutta la tua potenza espressiva nel solo strumento vocale. Inutile dire che per un attore come me (esuberante di natura) questo è stato un costante esercizio di ‘riduzione’ e quindi di miglioramento del modo di interpretare un personaggio.

È molto ricca anche la sua produzione teatrale, con una spiccata propensione all’umorismo: è questo il genere artistico in cui si ritrova di più?

Non amo parlare di ‘generi’... io sono uno che di mestiere racconta storie! Ho scritto molte commedie ricche di comicità, ma sempre traversate da un sottile filo di melanconia, come invece un paio di testi assolutamente drammatici punteggiati da situazioni al limite dell’esilarante. È chiaro che sono molto influenzato dalla mia visione del mondo, che non riesce mai a prescindere dalla necessità di ridere di se stessi, quindi la dimensione umoristica è quella che mi è più congeniale! Credo che un giorno passato senza un sorriso sia un giorno sprecato!

Si dice che i napoletani abbiano un senso dell’umorismo innato. È vero che una battuta, una frase, un’espressione o una riflessione pronunciata in dialetto partenopeo può far ridere, mentre in italiano magari non suscita neanche un sorriso?

La potenza evocativa del dialetto, si sa, è straordinaria, la verità che riesce ad attribuire il vernacolo a un’espressione non è paragonabile a quella della lingua. Soprattutto in considerazione del fatto che l’Italiano è una lingua molto letteraria e molto ‘giovane’ nell’uso parlato. Poi (e qui sono evidentemente di parte) il Napoletano è una lingua sicuramente più ricca, con una sua letteratura, un bagaglio musicale immenso e con addirittura piu lemmi della lingua nazionale! Giocoforza che in Napoletano una battuta faccia più ridere e questo (come diceva il principe, grande maestro di comicità) ... a prescindere!!!

Chi sono i maestri che la ispirano e la guidano durante il suo lavoro?

Accostare il mio piccolo nome ai giganti a cui mi ispiro mi fa sempre un certo effetto. In più ricordo sempre un episodio con il grande Ettore Giannini con cui ho avuto il privilegio di lavorare: si doppiava “Il Padrino” io facevo poco più che il brusio, ma, giovane attore napoletano, nel tentativo di mettermi in evidenza e al contempo d’imparare, mi proponevo per ogni piccolo ruolo (agitandomi forse più del dovuto). Il maestro uscì dalla regia e strillando mi disse: “Ammendola si calmi!!! L’arte è già stata fatta!!!” Ecco, tenendo conto che non dimentico mai questo insegnamento, i miei punti di riferimento sono tanti: in primis il mio maestro Achille Millo, attore modernissimo, poi Vittorio Caprioli genio della leggerezza, Peppino de Filippo, la più grande ‘spalla’ del nostro cinema, Vittorio De Sica dal fascino inimitabile e l’immenso Gianmaria Volontè, per il rigore, la disciplina e la capacità di fare arte senza mai venir meno al proprio impegno sociale.

Una domanda a parte che è impossibile non porle: qual è il suo rapporto, letterariamente e teatralmente parlando, con Eduardo e con le sue opere?

Ho avuto la fortuna di incontrare Eduardo in scena (ho fatto una sostituzione di un attore negli “Esami non finiscono mai” per una trentina di repliche) ma al di la della indimenticabile esperienza personale, per il nostro teatro e per la ‘cultura’ del nostro paese Eduardo è una pietra miliare. Io ho amato molto il commediografo e prima ancora di aver messo piede su un vero palcoscenico conoscevo quasi a memoria la sua opera. La prima volta che assistei a un commedia di Eduardo avevo otto anni (mio padre era un fan di Totò e dei De Filippo) era una ‘prima’, credo che fosse “Sabato, domenica e lunedi...” io ancora non lo sapevo, ma stava cominciando la mia ‘formazione attoriale’!

Achille Campanile, il maestro dell’umorismo, ha costruito un modo di fare teatro con giochi di parole, allusioni, deduzioni. Si è mai trovato a recitare o a studiare un testo campaniliano? Quali sensazioni le suscita quello stile così particolare e denso?

Sì! Per anni ho usato per i provini “La rivolta delle sette sette” che ancora oggi credo di ricordare a memoria! Sono un logorroico, amante della parola, non potevo non essere sedotto dai funambolici giochi verbali di Achille Campanile. Nei primi anni ottanta ho condotto, per un po’, un piccolo (ma delizioso) programma in radio il cui ‘piatto forte’ erano i calembour, si chiamava “il Motto Matto”, inutile dire che si attingeva a piene mani al grande umorista romano (ma di origini partenopee)!
Per un attore di teatro, è più importante la parola o l’interpretazione che viene data alla stessa?

Noi siamo degli strumenti musicali e contemporaneamente i musicisti, siamo il violino e il violinista allo stesso tempo e le parole sono le note! Tutto sta a come le facciamo vibrare, come le uniamo a formare accordi... come insomma le suoniamo!

Oggi il linguaggio teatrale si è dovuto evolvere rispetto al cambiamento delle abitudini lessicali del pubblico oppure ha mantenuto una sua dimensione?

A proposito di note... questa è sicuramente una dolente! Il teatro è espressione del suo tempo e ahimè il nostro si è adeguato al linguaggio corrente e quindi non userei il termine ‘evolvere’!

Campanile teorizzava una distinzione fra umorismo e comicità, asserendo che il primo è soggettivo e la seconda è oggettiva. Concorda? A suo avviso è ancora attuale?

In linea di massima mi sento di aderire, anche se i mass media tendono a proporre una comicità sempre più ‘facile’, che inevitabilmente perde ogni prerogativa di oggettività e universalità! Personalmente la comicità priva di una vena d’ironia non mi fa ridere.

C’è, secondo lei, un teatro umoristico puro in Italia, tra sceneggiature e riadattamenti, oppure si vira sempre più verso il cabaret e la comicità?

Parafrasando il personaggio di un noto comico televisivo, rispondo... la seconda che hai detto!

Avendo lavorato in tutti i ruoli dello spettacolo, dalla scrittura alla recitazione, può dirci se si sente più realizzato davanti al pubblico o dietro le quinte?

Come ti ho già detto io racconto storie... magari leggermente deformate dalla mia visione (ilare) del mondo, a questo punto della mia carriera non è molto importante stare sul palco, dietro le quinte o seduto al computer, quello che conta è che il mio racconto (e forse un pezzettino di me) arrivi al pubblico e lo aiuti a sopportare la ‘meravigliosa’ fatica di vivere!

L’ultima domanda di questa intervista la vogliamo fare mettendo alla prova l’estro e la simpatia che la caratterizzano. Immagini di essere in teatro, davanti a una platea di centinaia di giovani, e dover spiegare – con serietà e ilarità insieme – questa frase di Achille Campanile: “Così sono le donne. Prima di sposarlo, vogliono che il marito sia un genio. Quando l'hanno sposato, vogliono che sia un babbeo”. Da dove comincia? ‘Erika’, dottor Pino! Grazie!

In primis, malignamente ricorderei ai ragazzi che anche Campanile aveva la signora Pinuccia e che forse ‘a casa’ anche la sua graffiante ironia era messa alla prova e poi ricorrerei al vecchio adagio maschilista (che potrebbe tranquillamente essere uscito dalla penna di Campanile): “Le donne piangono il giorno del matrimonio. Gli uomini dopo!” Ma io non ci credo, perchè se è vero che “le donne sono la rovina degli uomini... gli uomini senza le donne sono rovinati!” e qui ‘Gatta cicala...’ ci sta benissimo! Ridiamo perchè non è la bellezza che salverà il mondo... ma il sorriso!

Intervista esclusiva a cura di Rocco Della Corte – Responsabile Ufficio Stampa e Comitato Scientifico “Campaniliana” – Rassegna Nazionale di Teatro & Letteratura – www.campaniliana.it. Si ringrazia Pino Ammendola per la disponibilità e la gentilezza.