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ultimo aggiornamento 05/06/2020

Achille Campanile secondo Gioele Dix: “Prende una contraddizione e la conduce all’esplosione. Il suo è un umorismo raffinato”

Nelle pillole letterarie proposte dall'attore durante la quarantena si è parlato di

Intervista a cura di Rocco Della Corte



Gioele Dix
Il teatro di Achille Campanile è complesso sia da rappresentare che da comprendere. Le battute spiazzanti, sommesse, sussurrate e l’enorme lavoro di ricamo in una drammaturgia raffinata e unica per il suo genere fanno delle piece campaniliane delle vere e proprie sfide per chi vi si cimenta. Gioele Dix, attore, comico, regista e scrittore, ha lavorato con grandi nomi del mondo della cultura come Salvatores, Parenti, Salines, Fantoni oltre a curare tantissimi spettacoli. Volto noto della televisione e del cinema, oltre che del palcoscenico, ha inaugurato un appuntamento attesissimo sui social: quello delle “pillole letterarie” nelle quali approfondisce alcuni testi contestualizzandoli nella produzione dell’autore in questione. Fra questi non è mancato Achille Campanile, che si può definire un amore antico per Gioele Dix, che lo ha “incontrato” tramite i suoi scritti da giovanissimo. Ecco l’intervista.

Gioele Dix, abbiamo ascoltato con grande entusiasmo la pillola letteraria su Achille Campanile. Ci racconta delle impressioni che la accompagnarono quando, come ha dichiarato, lesse da giovanissimo ‘Ma che cos’è quest’amore?’ e iniziò quindi a scoprire la scrittura campaniliana?

Ho cominciato a leggere abbastanza presto, i miei genitori erano grandi lettori e non avevamo la televisione. La sera con me non funzionava il classico “A letto dopo Carosello” ed era una battaglia per farmi dormire, quindi leggevo i fumetti prima e poi verso i dieci anni le prime storie di avventura. Avevo dodici anni e sentivo spesso ridere mio padre. Lui era un uomo che non rideva tanto, ogni volta che lo faceva era una sorpresa. Gli chiesi allora cosa stesse leggendo e aveva in mano “Agosto, moglie mia non ti conosco” di Achille Campanile, in una edizione che ancora conservo insieme alle altre nella mia libreria. Lo definiva uno scrittore straordinario e mi diede “Ma che cos’è quest’amore?”. Rimasi folgorato. Avevo il senso del comico ma non lo avevo mai verificato sul campo con una scrittura umoristica. Era come se mi si aprisse un mondo nuovo nel quale c’erano degli adulti che non erano persone così “serie”, nel senso brutto del termine. Non immaginavo si potesse ridere così. Mi ha colpito tantissimo la scena dello scompartimento: notai che Campanile parlava sempre dei treni e degli scompartimenti, io avevo una grande passione per i treni, perché erano un mondo a sé nel quale le persone si incontravano, si raccontavano la vita, si facevano viaggi tremendi o bellissimi a seconda degli sconosciuti. Un mondo che stimolava senz’altro molto Campanile, il quale aveva il gusto per l’umanità e sapeva prenderla in giro così come sapeva prendere in giro la letteratura e i suoi stilemi. Lo scompartimento abitato da persone che si chiamavano tutte Carlo Alberto, per tornare al libro, è una cosa fantastica e fenomenale. La sua capacità era quella di scompaginare continuamente, spiazzare. Un’altra cosa che mi colpì tantissimo riguarda la storia del signore che soffriva di insonnia, si fece prescrivere il sonnifero da assumere e metteva la sveglia di notte per svegliarsi e prenderlo… Insomma sono stato conquistato definitivamente e subito da questo signore e ho cominciato a leggere e scoprire romanzi e narrativa breve.

Cosa la colpisce, principalmente, della scrittura di romanzi di Campanile?

I romanzi di Campanile mostrano il gusto della narrazione e dell’intreccio, ma era anche uno che si prendeva gioco dell’intreccio, apriva parentesi, faceva digressioni. Per lui i romanzi erano l’occasione di parlare di un sacco di altre cose. Per me ragazzo diventava divertentissimo leggere, perché non ero affatto preparato a queste digressioni.

Ha interpretato magistralmente due pezzi impegnativi come “Galileo” e “Lord Brummel”. Qual è stato il criterio della scelta di questi significativi racconti contenuti nelle “Vite degli uomini illustri”?


Secondo me sono emblematici di due filoni umoristici di Campanile. Galileo è il gioco di parole per eccellenza. Faccio una precisazione: la comicità basata sul gioco di parole secondo me è piuttosto scarsa, i comici che fanno solo il gioco di parole e costruiscono tutto per un cambio di consonante può essere scontata. La grandezza di Campanile sta invece nel giocare su un’assonanza e una somiglianza, come domande da “porci/pòrci”, o “col pendolo”, costruendo una faccenda straordinaria partendo sì da un gioco di parole ma portandolo alla sua massima potenza e ottenendo il massimo risultato col minimo sforzo. Per farlo ovviamente ci vuole il genio. “Lord Brummel”, poi, è forse ancora più sottile e intelligente, frutto dell’intelligenza micidiale di Campanile che fa un’operazione tipica del comico. Prende alla lettera una contraddizione e la conduce all’esplosione. Pochi sanno farlo, uno era Groucho Marx, o Woody Allen in parte, ci vuole quella capacità in più. Non ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona ma sono convinto che nella vita avesse una sorta di antenna che carpiva le occasioni per far ridere.

Uno dei grandi ostacoli cui è andato incontro il teatro umoristico, per molto tempo e all’epoca di Campanile, è l’essere considerato “minore” rispetto ad altri generi. Secondo lei questo pregiudizio è superato oppure persiste?

Quello di Campanile era un teatro sofisticato, oggi una comicità così raffinata non sarebbe popolare anche se è godibile da chiunque. Ci vuole attenzione alla sottigliezza. Io penso alla cosa teatralmente più bella che ha scritto, secondo me: “Visita di condoglianze”. Ogni tanto quando sono di cattivo umore la rileggo e rido con le convulsioni, come se la leggessi la prima volta. Forse il teatro umoristico è complesso proprio perché meno immediato.

È complesso anche recitarli i testi di Campanile…

Ho visto delle messe in scena del teatro di Campanile, ma non è facile per nulla. Anche gli attori con tutta la buona volontà spesso tendono a sottolineare e non si deve sottolineare, il teatro comico è difficile perché evidenziando troppo la battuta ci si perde. Campanile va fatto probabilmente nello stesso modo sommesso in cui parlava. Vedendo le sue interviste, era un po’ sornione, buttava la battuta come se non la dicesse… questo non è semplice, in nessuna epoca. Franco Parenti mi ha raccontato un aneddoto: negli anni Quaranta partecipò ad una rappresentazione delle “Tragedie in due battute”. Gli attori si divertivano, il pubblico era invece inferocito e furono costretti a chiudere il sipario. Campanile, che era presente, con coraggio si affacciò sul palco e disse: “Se non la smettete ricominciamo!”. Insomma non si ci si può aspettare che la messa in scena renda quanto le aspettative. Campanile rende, e a mio avviso lo sapeva, per il paradossale e l’irrappresentabile. Le didascalie delle tragedie per esempio sono dei capolavori belli proprio da leggere. Devi essere amante del teatro scritto per apprezzarle, io non condanno chi non capisce subito Campanile perché piace o non piace, come tutta la comicità e l’umorismo, è un discorso di empatia e sensibilità letteraria.

Intervista esclusiva a cura di Rocco Della Corte – Responsabile Ufficio Stampa e Comitato Scientifico “Campaniliana” – Rassegna Nazionale di Teatro & Letteratura – www.campaniliana.it. Si ringrazia Gioele Dix per la disponibilità e la gentilezza.