Poche parole, collocate al punto giusto, ed un unico effetto istantaneo: quello di spiazzare, di far rimanere tutti con il naso arricciato, un po’ contrariati e un po’ divertiti. Questo è il progetto ambizioso e fuori da ogni tempo e da ogni canone perseguito da Achille Campanile, che nel 1925 dà alle stampe le “Tragedie in due battute”, un’opera destinata a rivoluzionare i concetti di satira e umorismo all’insegna della brevitas. Concisione, rapidità espressiva, sintesi estrema alla ricerca del significato più ampio: l’innovazione sta proprio nel proporre pezzi di teatro, facilmente realizzabili, dove la parola racchiude all’ennesima potenza il senso e la capacità attoriale deve completare l’alchimia. Tema principale di uno dei raffinati capolavori di Campanile è la spiegazione del luogo comune, intriso d’assurdo, con le osservazioni banali che si capovolgono e diventano tutte da esplicitare. Provocatorio, ma con dolcezza, lo scrittore affida al suo genio deduzioni logiche e illogiche estremizzando significanti e significati o, al contrario, abbassando clamorosamente l’onore dei termini riportandolo alla sua radice.
Alcuni esempi pratici: Atlante è costretto a reggere sulle sue spalle il mondo, provando un’immane fatica. Non c’è altra esclamazione che egli possa fare se non la più classica, modificata dall’aggiunta di una “esse”: “Che rottura di spalle!”. Oppure il tenero sottobosco parlante, in cui si ritrovano un fiorellino e un fungo, quest’ultimo provvidenziale perché riparatore dalla pioggia con il suo cappello. “Sei un vero ombrello o fungi da ombrello?”, chiede l’ingenuo fiore al suo salvatore. Che risponde: “Fungo”, in una coincidenza tra la propria identità e l’azione svolta. Campanile se la ride sin dal titolo, perché ci avverte: la tragedia è infatti chiamata “Non era un ombrello”. Si potrebbe andare avanti all’infinito, ogni pagina del libro è un capitolo a parte che richiama centinaia di possibilità ed esalta il potere della letteratura e della sua forma base, la parola. Basti, per chiudere, la definizione che l’accademico e critico teatrale Masolino D’Amico elabora per le “Tragedie in due battute”: "un monumento, forse insuperabile, alla brevità".