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ultimo aggiornamento 12/07/2020

Andrea Tidona e l’umorismo: “Quello di oggi è sovrastimato, quello di Campanile fu sottostimato”

Intervista a cura di Rocco Della Corte




Un attore completo, con un grandissimo background culturale oltre che professionale: questo è Andrea Tidona, uno dei volti più stimati del cinema e della televisione italiana, oltre che naturalmente del teatro. Il suo percorso artistico inizia all’Accademia dei Filodrammatici e si snoda tra grandi interpretazioni e ruoli popolarissimi, come ad esempio quello di Fazio padre ne “Il giovane Montalbano”. Secondo Andrea Tidona la recitazione deve sempre far emozionare, in un senso o nell’altro, e cita Strehler e Mauri come maestri ispiratori. Il primo incontro con Achille Campanile è avvenuto in occasione di una interpretazione della piece “L’acqua minerale”.

Andrea Tidona, iniziamo questa intervista dalla sua esperienza formativa all’Accademia dei filodrammatici: come definirebbe questo percorso che ha poi avviato la sua professione attoriale? Quali sono i ricordi più nitidi di quel tempo?

L' Accademia dei Filodrammatici, come tutti i percorsi scolastici, vanno visti come un avviamento alla professione, e da questo punto di vista, quello che ho fatto io, lo ritengo un ottimo percorso. Il ricordo in assoluto più importante è senz'altro l'incontro col mio maestro di recitazione, Ernesto Calindri. L'insegnamento specifico sulla recitazione veniva arricchito da avvertimenti sulle insidie che questo mestiere presenta quando si entra nel mondo della professione, che non erano, l'ho capito dopo, meno importanti della recitazione stessa.

Ha recitato in moltissimi film per il cinema, alcuni dei quali molto impegnati come “I cento passi” o “La vita è bella”. Ritiene che l’arte della recitazione abbia sempre il dovere di comunicare, nelle sue forme più disparate, qualcosa di importante?

Io credo, fermamente, che l'arte della recitazione debba sempre “divertire”. Con divertire non intendo “far ridere”, bensì divertire nel profondo, in definitiva emozionare; da non confondersi con commuovere.

Il teatro è stato sempre una costante nella sua vita e ha recitato Pirandello, D’’Annunzio, Buzzati, Wilde, Moliere, Soldati fra gli altri. C’è qualcosa in comune tra questi autori che rende “classici” i loro testi?

Indubbiamente tutti, chi più chi meno, chi in modo più leggero chi in modo più drammatico, hanno la capacità di leggere, e di rendercelo chiaro, l'animo umano.

Secondo lei il teatro che tipo di percorso evolutivo ha fatto, dal suo esordio alla contemporaneità? E questa trasformazione ha migliorato l’intesa fra scena e pubblico?

Direi che senz'altro c'è stata un'evoluzione della recitazione, nelle varie epoche, e nei modi più disparati. Sull'intesa fra scena e pubblico ho seri dubbi, basti pensare che il teatro nasce come rito, e, cosa c'è di più rituale del rapporto platea palcoscenico che c'era presso i Greci…?

Esiste un valido teatro umoristico, invece, in Italia? Si dice sempre che la gente ha bisogno di leggerezza…

No, oggi in Italia non c'è nè umorismo nè leggerezza. C'è una comicità “sdata”, quando non greve.

Si è mai cimentato con la lettura di Achille Campanile, che così innovatore è stato nella produzione di testi non soltanto teatrali?

Sì, fin dai tempi dell'accademia. Proprio con Calindri, che era un maestro del teatro leggero, partecipai ad una serata dove recitammo il famoso sketch “L' acqua minerale” in cui facevo il cameriere. E poi in varie circostanze altri brani, autentiche “invenzioni” letterarie.

Uno dei mondi in cui più è attivo è quello della televisione. Da “Il giovane Montalbano” a “Braccialetti rossi”, c’è ancora una buona fiction in circolazione. Secondo lei la forma della fiction è effettivamente intermedia fra il cinema e il teatro oppure ha un’autonomia tutta sua? E come motiva la risposta?

No, non è niente di intermedio. La fiction, in definitiva, è un film pensato per il piccolo schermo.

Anche se non è il suo campo direttamente, come giudica l’intrattenimento in televisione fra contenitori di approfondimento e talk? Campanile negli anni Settanta diceva che “la scemenza la vogliamo facoltativa, non obbligatoria” riferendosi ai palinsesti e forse sta tornando di attualità…

Non guardo da tempo la televisione cosiddetta generalista. I contenitori e i talk di qualunque tipo sono, per me, degli spettacoli deprimenti.

I suoi maestri ispiratori nel teatro e nella recitazione quali sono? In che modo li ha incontrati?

A parte Calindri, direi due su tutti: Giorgio Strehler e Glauco Mauri. Diciamo che ci sono sempre delle circostanze un po' fortunate negli incontri che si fanno nella professione, e così è stato anche per me.

Pur essendo un artista completo, se dovesse scegliere tra uno spettacolo umoristico o comico e uno drammatico per quale opterebbe?

Oggi per uno umoristico, sicuramente.

Secondo lei il teatro umoristico, che ai tempi di Campanile era considerato di serie B e spaccava il pubblico, oggi ha colmato il gap oppure è ancora sottostimato?

Quello che di norma circola oggi direi che è sovrastimato. Quello che c'era ai tempi di Campanile credo sia stato sottostimato.

Concludiamo l’intervista chiedendole di indicare le tre doti che a suo avviso non devono mancare in un giovane attore per fare spettacolo…

Ne indico una assolutamente indispensabile: la passione. Le altre due.... a scelta del “candidato”.
 


Intervista esclusiva a cura di Rocco Della Corte – Responsabile Ufficio Stampa e Comitato Scientifico “Campaniliana” – Rassegna Nazionale di Teatro & Letteratura – www.campaniliana.it. Si ringrazia Andrea Tidona per la disponibilità e la gentilezza.